A. Pirni, A. Bruzzone, Tra morale e politica: un dialogo (in-)cosciente? Linee per un percorso tematico

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Tra morale e politica: un dialogo (in-)cosciente? Linee per un percorso tematico

Alberto Pirni – Attilio Bruzzone*

 

 

I.

Il titolo che si è inteso conferire al presente lavoro racchiude termini e concetti che potrebbero apparire rientranti in un uso del tutto ampio, ovvero nel linguaggio più frequentemente utilizzato – certo non solo da filosofi – per descrivere ambiti e orizzonti di significato che riguardano la più estesa e condivisa esperienza di vita comune. Al tempo stesso, gli stessi termini alludono, neppure troppo implicitamente, ad un’intera e amplissima tradizione di significati, lungo l’intera vicenda filosofica occidentale, che sarebbe impresa certo del tutto vana tentare di richiamare in questa sede.

Tuttavia, non pare essere del tutto superfluo richiamare il punto teorico dal quale è nata l’istanza comprensiva rappresentata nel titolo e nella serie di contributi che sotto di esso sono stati raccolti. Per fare ciò, appare opportuno provare a scorporare quell’insieme tematico nei suoi elementi costitutivi, per poi procedere, per così dire, ad una sua “ricomposizione guidata”.

Provando così ad isolare il primo elemento, pare innanzitutto utile comprendere il significato di coscienza che si è inteso implicitamente evocare e mantenere sullo sfondo delle riflessioni qui raccolte. Quest’ultimo, volendo identificare due punti di riferimento di chiara evidenza, potrebbe identificarsi nello spazio – pur densissimo di specificazioni e, non di rado, di contraddizioni – che unisce e, al tempo stesso, separa la filosofia trascendentale dall’idealismo, ovvero, fondamentalmente, Kant da Hegel.

Per altro, volendo esercitare un’attenzione teoretica a più stretto raggio, si deve ammettere che è impresa certo non semplice ricostruire un (unico) significato di “coscienza” in Kant. In prima approssimazione, pare lineare riferirsi alla Critica della ragion pura (1781; 1787), che ne contiene certo una paradigmatica definizione nell’alveo della svolta trascendentale: “coscienza” rimanda qui all’Io penso, ovvero all’“appercezione pura”, funzione di conoscenza universale che non possiede una propria realtà. Essa, piuttosto, giunge a raccogliere e coordinare le intuizioni sensibili provenienti da quello che potremmo qualificare come il nostro “fare contatto conoscitivo con il mondo”, che per Kant avviene attraverso lo spazio e il tempo, ovvero i principi a priori che presiedono all’esperienza dei fenomeni, trattati nell’“Estetica trascendentale” della prima Critica.

Coscienza è dunque e innanzitutto legata all’atto teoretico per eccellenza: la conoscenza e la scienza possibili per noi, ovvero per esseri sì dotati e capaci di ragione, ma finiti. Tale carattere di finitezza, come noto, coinvolge appieno anche la stessa prospettazione del termine in Kant. L’io conoscente è appunto, un io “finito”, privo di potere creativo, ovvero un io che ordina, regola e organizza, in forma di “concetti”, il materiale conoscitivo che giunge dal mondo dei fenomeni, ovvero da ciò che è “fuori di lui”. La stessa aggettivazione deve dunque essere utilizzata per la corrispondente “coscienza”: la coscienza è finita e limitata quanto lo è la nostra possibilità di conoscere – che è possibile fondare come scienza solo se si riferisce ai fenomeni, alle esperienze empiriche.

Come del pari noto, è proprio questo carattere, limitazione e specificità che sarà posta in discussione nella filosofia immediatamente successiva a Kant. Già a partire da Fichte, il punto di flesso sarà individuato non solo e non tanto sulla coscienza, quanto sull’auto-coscienza, ovvero sulla “coscienza di avere coscienza” che l’io innanzitutto possiede, avverte e, soprattutto, pone in atto. Nel fare ciò, l’ulteriore suffisso che si integra al precedente discorso è quello che va a completare il significato di in-finito. L’Io conoscente, ora infinito, si costituisce non solo, come in Kant, come “principio regolatore” della conoscenza acquisita attraverso l’esperienza. Esso è (anche e innanzitutto) “principio creatore”, ovvero produttore della stessa realtà esterna, a partire dalla prima e complessiva posizione del non-Io, alla quale poi si applica l’atto esperienziale e conoscitivo. La coscienza, ora autocoscienza, produce la realtà esterna: è questo il più significativo punto di confronto dialettico con Kant che la teoria fichtiana propone al dibattito a lui contemporaneo.

Lungo questa scia, la riflessione di Hegel giunge a completare il profilo del concetto di autocoscienza all’interno dell’idealismo tedesco in forma destinata ad avere un percorso molto più articolato e divergente di quanto lo stesso autore avesse forse prospettato. A partire dalla Fenomenologia dello spirito (1807), Hegel inaugura un complesso programma teorico di comprensione e superamento dello stesso concetto di coscienza. La coscienza si scopre come non solo in grado di produrre la realtà al di fuori di sé, ma anche di produrre se stessa, ovvero la propria articolazione e costituzione interna in maniera del tutto speculare e rispondente a ciò che è ed è stato storicamente compreso come “fuori”, in riferimento ad un’intera analisi genealogica occidentale. Nel fare ciò, Hegel si propone di superare un limite che egli riscontra in tutta la filosofia a lui precedente: il fatto che essa fosse, appunto una filosofia della coscienza, ancorata esclusivamente alla prospettazione di un rapporto tra la coscienza con qualcosa che è “altro” dalla coscienza stessa.

L’impegno teorico centrale di Hegel è di superare tale dualismo, prospettandosi di portare e ricondurre ogni forma di alterità all’interno della coscienza stessa – e ciò con un duplice fine. Si tratta, per un verso, di riconnettere in assoluto – ovvero senza possibilità di eccezioni o “zone d’ombra” – realtà (percepita) a verità (conosciuta) e, per l’altro, di compiere tale riconnessione, rispetto al punto di vista del soggetto conoscente, del tutto al di sopra di ogni distinzione tra esterno e interno. «Il vero è l’intero», come il filosofo ripeteva a più riprese, e in entrambe le polarità sono strutturalmente compresi – fino a risultare indistinguibili – soggetto e oggetto; Io e mondo esterno; esperienza e idea.

È noto l’esito per il quale il filosofo si avvia: nel compiere tale movimento, la coscienza reale e immediata si supera e, al tempo stesso, si invera in autocoscienza che, come “concetto di sé”, diviene ragione per giungere, ulteriormente “negandosi” e “conservandosi” allo “spirito certo di se stesso”: eticità.

II.

Fino a qui si è cercato di illuminare solo un frammento della lunghissima storia del concetto di coscienza. Si tratta, con ogni evidenza, di una declinazione “senza aggettivi”, ovvero fondamentalmente legata all’attività che pare ab origine più propria della coscienza: quella conoscitiva. Come si profila però tale concetto una volta che se ne cerchi di chiarire la declinazione morale, ovvero quella politica e, non da ultimo, si prospetti un ideale dialogo tra esse?

Prima facie, si sarebbe tentati di affiancare all’aggettivo “morale” la prospettiva di costruzione di un mondo individuale, interiore, che potrebbe o dovrebbe presiedere l’elaborazione della condotta personale. Per converso, all’aggettivo “politico” si potrebbe affiancare la costruzione o il tentativo di plasmare il mondo sovra-individuale o intersoggettivo, in ogni caso esterno al singolo individuo.

La prospettiva teorica però si complica e, per così dire, duplica le sue possibili interpretazioni, a seconda che si intenda valorizzare l’accezione kantiana di coscienza finita e la correlativa distinzione tra interno ed esterno, il cui discrimine è l’esperienza sensibile (kantianamente, non potremmo avere esperienza sensibile del nostro sé), oppure si propenda per una declinazione di matrice idealista, volta a superare esattamente tale finitezza e a “produrre”, dalla prospettiva del soggetto singolo, sia l’esterno, sia l’interno, sia, non da ultimo, una piena corrispondenza tra tali “produzioni”.

Lungo le complesse “stazioni” e punti di flesso di una parabola straordinariamente complessa si coglie, crediamo, il senso dell’aggettivo “in-cosciente” proposto nel titolo a proposito del dialogo tra le due sfere di morale e politica. L’allusione, in altri termini, intende suggerire la necessità di andare oltre una prensione meramente intuitiva e generalista di tali sfere, che ci pone su un terreno meno noto, forse meno scontato di quanto poteva pensarsi nell’uso quotidiano di tali espressioni. Al tempo stesso, essa si propone dentro e oltre la dialettica semantica appena assunta: il dialogo è in-cosciente in quanto non è più solo o esclusivamente rientrante in uno o nell’altro significato di sfondo sopra evocato a proposito del concetto di coscienza e, forse, al tempo stesso, si colloca al di là di una piena consapevolezza dei confini tra le sfere parallele rappresentate da morale e politica.

Dunque, cos’è “coscienza”? In che senso può dirsi “morale” e secondo quale approssimazione “politica”? Ultimo ma non da ultimo, può risultare interessante rilevare la polarizzazione tra i due aggettivi e orizzonti che i medesimi richiamano, ovvero proporre una mappatura dello spazio definitorio, linguistico e pragmatico al tempo stesso, che comprende la loro liminarità?

Non è questo il contesto per fornire risposte a tali domande. Può però essere questo il contesto nel quale proporne amplificazioni e ramificazioni ulteriori.

 III.

Dall’alba della modernità a oggi, coscienza morale e coscienza politica appaiono scisse e divise in campi ben delimitati, non di rado in aperto conflitto. La «nuova» filosofia politica, a partire da Machiavelli, Hobbes, Locke, è nata proprio con e da questa consapevolezza, sul solco dello storico divorzio, anch’esso squisitamente moderno, consumatosi tra politica, morale e religione. L’autonomia del politico, inteso come dominio dell’esteriorità, dal morale, ridotto al rango di rifugio privato della e nella interiorità, autonomia che informa e lacera l’intera epoca moderna e postmoderna, pur con significative eccezioni (ad esempio quella della filosofia politica e morale kantiana, per citarne una delle più lampanti), sembra essere a tal punto irreversibile che spesso in politica le virtù sono considerate più perniciose dei vizi.

Il refrain «vizi privati, pubbliche virtù» potrebbe ben essere il motto simbolico di questa più o meno tacita convinzione, figlia del common sense. Le esigenze morali più elevate, migliori e ideali possono, d’altronde, facilmente rovesciarsi nei più infimi, peggiori e iperreali inferni politici, come la parabola del comunismo, quale mito e realtà, sembrerebbe testimoniare emblematicamente e impietosamente. Come se l’etica infusa nella politica producesse quasi inevitabilmente l’abominio dell’immoralità generale e generalizzata. Come se gli imperativi della morale non fossero assimilabili agli imperativi della politica; come se vi fossero un incolmabile iato e un irriducibile conflitto di fini tra le due sfere, fondamentalmente eterogenee e antitetiche. Come se, addirittura, il bene, l’ideale, divenisse l’immagine di copertura e l’alibi del male reale.

Di qui la dicotomia, talvolta esasperata ma sempre persistente, tra morale e politica, e il conseguente desideratum, assurto a debole imperativo categorico, accettato quasi all’unanimità, di tenere la morale fuori dal recinto della politica, onde evitare rimedi assai peggiori degli stessi mali che si vorrebbero eliminare. La lacerazione tra i due ambiti, morale e politico, porta, inoltre, a una visione dicotomica della stessa struttura dell’azione umana: da un lato, la purezza delle intenzioni del soggetto morale, dall’altro, il risultato effettuale sganciato dall’intenzione del soggetto politico. O si rimane nel cielo delle convinzioni morali o si affondano i piedi sul terreno fangoso delle azioni politiche. Insomma, comunque lo si voglia vedere e affrontare, il rapporto tra morale e politica sembra darsi esclusivamente nella gabbia d’acciaio dell’«aut-aut», giacché esse si pervertirebbero vicendevolmente senza riuscire a coesistere in maniera soddisfacente.

L’insieme di saggi qui raccolti muove proprio da queste considerazioni, storicamente accreditate; tenta però, al tempo stesso, di andare al di là di esse. Hegelianamente, guarda in faccia il negativo, vi soggiorna, ma prova a superarlo. Tutti i contributi tengono infatti conto del dato, rifiutandosi, tuttavia, di assolutizzarlo e di mitizzarlo come meta-dato eterno e insuperabile. In ognuno di essi, pur da prospettive e in modalità differenti, emerge la consapevolezza che la lacerazione tra morale e politica, specie se esacerbata, è causa di sofferenze e di squilibri, tanto per l’individuo quanto per la società. Consapevolezza che si traduce in un tentativo di superamento di questa lacerazione, affinché la pur necessaria distinzione tra morale e politica non si perverta in una devastante e statica opposizione senza vie d’uscita, ma possa, piuttosto, trovare un terreno comune di azione in cui entrambi gli ambiti siano attivi e non vengano né ridotti né sacrificati. Il fil rouge, che attraversa e informa tutti i saggi, è proprio la volontà di «attaccare» il problema alle radici, mettendo in movimento i concetti di coscienza morale e coscienza politica e, così, mantenerli in proficuo rapporto dialettico, senza con ciò dare per scontata la loro unione identitaria o conciliazione aproblematica, ma, al contrario, con la ferma intenzione di insistere sul nodo aporetico della questione, sempre evitando soluzioni di comodo, tanto facili quanto false e inefficaci.

IV.

Questo numero di «Lessico di Etica Pubblica» nasce come rielaborazione della XV edizione della Scuola di Alta Formazione di Acqui Terme dal titolo «Coscienza morale, coscienza politica. Modelli e percorsi a confronto», tenutasi dal 21 al 23 gennaio 2014 presso la Sala Conferenze di Palazzo Robellini della città piemontese. La manifestazione, sostenuta da vari enti, tra i quali l’«Istituto Nazionale Tributaristi» e il «Lions Club Host» di Acqui Terme, è il frutto della proficua e stretta collaborazione scientifica instaurata, negli anni, dalla Scuola con l’«Istituto Italiano per gli Studi Filosofici» (Napoli), il «Dipartimento di Antichità, Filosofia e Storia» dell’Università di Genova e l’«Istituto di Diritto, Politica e Sviluppo» della Scuola Superiore Sant’Anna di Studi Universitari e di Perfezionamento (Pisa). Il gruppo responsabile del progetto, coordinato da Alberto Pirni, è costituito da docenti, ricercatori e studiosi provenienti da esperienze e ambiti disciplinari affini e differenti – quali la filosofia teoretica, la filosofia politica, morale e pratica, l’etica sociale e le scienze pedagogico-filosofiche –, ma sempre in dialogo costante e fecondo. L’obiettivo precipuo del progetto è lo studio e la determinazione delle potenzialità e dei limiti delle pratiche filosofiche etico-politiche in relazione al rapporto aporetico tra coscienza morale e coscienza politica, senza con ciò rinunciare all’elaborazione di possibili modelli alternativi, aperti e plurali.

Come detto in avvio, leitmotiv e telos del presente numero è l’analisi delle prospettive filosofiche etico-politiche declinate nella coppia concettuale «coscienza morale» e «coscienza politica», e delle sue diramazioni e implicazioni; analisi sempre radicata nell’alveo del rigore teoretico e della concretezza del contesto da cui tali prospettive sorgono e in cui intendono effettivamente applicarsi. Con ciò si intende, pertanto, fornire, attraverso il confronto serrato tra modelli e percorsi anche fra loro alternativi e non scevri da aporie, un contributo allo sviluppo dell’odierno dibattito relativo alla coscienza morale e politica, e alla chiarificazione delle principali costellazioni problematiche che lo avvolgono, lo animano e lo lacerano.

I saggi ivi contenuti affrontano e analizzano da varie angolature e in modi diversi i concetti di coscienza morale e di coscienza politica, tenendo, però, sempre fermo alle loro aporie costitutive. Per questo motivo, si è preferito privilegiare l’indagine concettuale, spesso declinata in chiave problematica, rispetto a un’impostazione di taglio più squisitamente storiografico. Questo non significa, naturalmente, dimenticare o minimizzare la natura storica e sedimentata dei concetti di coscienza morale e coscienza politica, di cui al contrario si sottolinea l’essenza divenuta e soggetta al tempo e allo spazio. Infatti, molti dei contributi qui presenti sono caratterizzati da un’impostazione, almeno in prima istanza, più «storiografica».

Osservandolo ora da un punto di vista complessivo, la prima parte del numero presenta saggi di affermati studiosi dei temi in questione; lavori che affrontano gli orizzonti teorici ancora aperti nel dibattito concernente le nozioni di coscienza morale e coscienza politica, e sviluppano alcuni degli aspetti concettuali più vivi e problematici all’interno dello stesso dibattito. Nella seconda parte sono raccolti i contributi di più giovani studiosi, che approcciano il tema monografico a partire da alcuni dei più interessanti autori del panorama contemporaneo e in connessione con le sfide e i problemi più urgenti dell’attualità. Infine, nell’ultima sezione, sono recensiti alcuni testi di recente pubblicazione, ritenuti di particolare interesse per l’approfondimento dei temi affrontati in questa sede e di alcuni specifici casi problematici attuali, sui quali la riflessione etico-pubblica risulta chiamata a trovare nuovi e rinnovati vocabolari di senso.

V.

Cerchiamo dunque, avviando un’osservazione a distanza più ravvicinata, di illuminare il filo argomentativo che unisce e, al tempo stesso, distingue i testi presentati in ciò che segue.

La prima parte del numero è costituita da cinque studi, volti ad inserirsi nel plesso tematico ora evocato lungo percorsi di colloquio con i classici del pensiero e, insieme, di proposta teorica. Il saggio di Roberto Gatti (Interiorità e politica: un’annotazione su Blaise Pascal) avvia il primo di tali percorsi, richiamando e discutendo la proposta di liminarità tra coscienza individuale e proposta politica che Pascal propone. Rispetto alla dialettica tra coscienza finita e infinita sopra richiamata, tale proposta traccia una modalità peculiare di “pensare il politico”, che si origina nel finito, ma che, appunto attraverso la coscienza individuale, coltiva l’anelito di elaborare una base di riferimento per la trascendenza, l’ulteriorità del finito.

Un secondo e non meno paradigmatico percorso è quello proposto dal lavoro di Claudio La Rocca (Kant e il problema della coscienza), il quale si concentra esplicitamente su uno dei pensatori di riferimento del concetto di coscienza, svolgendo il proprio compito su un duplice piano argomentativo. Per un verso, egli si propone di indagare il concetto di coscienza (questa volta esplicitamente “morale”), chiedendosi per quali ragioni Kant non sviluppi una vera e propria etica della coscienza, pur dedicando ad essa un ruolo significativo in larga parte della sua opera. In secondo luogo, l’autore pone tale nucleo tematico in reiterato confronto con la filosofia morale novecentesca, che sembra aver maturato, anche a valle della “formalizzazione” kantiana, un riferimento più complesso a tale concetto e, al fondo, una sua riduttiva risemantizzazione.

Giunge a prolungare idealmente il dialogo con il dibattito contemporaneo e, al tempo stesso, con i classici, il contributo di Mario De Caro (Libero arbitrio e giustizia), che si concentra su una discussione interna alle scienze cognitive e alle neuroscienze. Alcuni degli autori che a tale ambito di studi si richiamano hanno messo in dubbio l’esistenza e l’efficacia di un intero arco di funzioni tradizionalmente attribuite alla coscienza, come l’esercizio della libertà e della responsabilità; arco che contiene la problematizzazione dei correlativi ambiti del merito e della colpa. Sono però le argomentazioni portate a sostegno di tale posizione, tanto inauspicata quanto potenzialmente sconvolgente per le sfere della morale del diritto, a risultare ad oggi non pienamente fondate.

È proprio l’esigenza di una più condivisa e fenomenologicamente evidente fondazione a interessare il contributo di Petr Kolychev (L’ontologia relativa e il fondamento dell’etica del futuro), che porta l’attenzione ad un piano, ontologico e di “metafisica fondamentale”, ancora non immediatamente chiamato in causa. Se, dal punto di vista di una ontologia relativa, “esistere” significa “differire”, è lo stesso principio della differenza a guidare l’intero sviluppo del piano dell’essere, fino ad interessare l’essere somatico e umano, la sua coscienza, la tensione metafisica e insieme etica che lo conduce all’essere teologico, prevedendo un progressivo distacco dalla materialità e dal suo “consumo”, nell’esistere quotidiano e comune.

Completa dunque il primo quadro tematico il lavoro di Francesco Totaro (Per una politica del riconoscimento della dignità d’essere), che si inserisce nell’assunto problematico della modernità qui complessivamente riproposto: la divaricazione tra sfera della morale e sfera della politica, esaminandone innanzitutto alcuni tentativi di superamento. La proposta va però oltre tale disamina, contemplando una “finalità antropologica radicale”: il riconoscimento e il perseguimento della dignità-di-essere per ogni persona. Si tratta di un fine collocato a monte di una proposta di rinnovata continuità tra le due sfere, che contemplerebbero così mezzi necessariamente differenti ma, opportunamente, non più divergenti.

La seconda parte del presente numero di Lessico di etica pubblica è organizzata in modo da presentare specifici approfondimenti ai medesimi nuclei tematici prospettati nella prima parte, ma anche seguendo una linea di sviluppo di interlocuzioni ulteriori, che presentano propria organicità, relativa al tema e complessivo, come si cercherà di mostrare sinteticamente in ciò che segue.

Inaugura tale secondo “cerchio concentrico” il lavoro di Rita Pilotti Dignità dell’uomo e cittadinanza globale: Kant alle origini del cosmopolitismo giuridico, che propone una visualizzazione dell’universo kantiano finora non esplicitamente richiamata, ovvero il dialogo e, al fondo, la convergenza tra la fondazione (morale) della dignità dell’essere ragionevole e il suo compiuto esercizio (politico), nella forma della cittadinanza all’interno di uno Stato di diritto, che idealmente si prolunga fino alla dimensione cosmopolitica e globale. Altro approfondimento critico è quindi offerto dal saggio di Ivan Rotella (Modello freudiano e modello nietzscheano intorno alla questione della Rangordnung), che assume un concetto-guida, quello di “gerarchia”, attribuibile ad entrambe le sfere semantiche di morale e politica, quale cartina di tornasole per un confronto tra di esse e un ideale dialogo tra due pensatori ulteriormente ma, non di rado, diversamente paradigmatici rispetto al tema, come Nietzsche e Freud.

Tra le possibili prosecuzioni – anche di segno contrastivo – di tale discussione, la scoperta e la piena valorizzazione del mondo interiore condotta a partire da una declinazione teorica femminista è quindi al centro del contributo di Martina Marras (Abnegazione, dignità e rispetto di sé. Il femminismo liberal di Jean Hampton): il rispetto di sé e i differenti livelli relazionali non sono soltanto questioni da destinarsi entro i confini di una morale individuale, ma debbono divenire problemi politici, la cui presa in carico rientra appieno nell’orizzonte del liberalismo.

Richiamandosi nuovamente ad una matrice speculativa kantiana, è dunque il lavoro di Linda Lovelli (L’incontro-scontro tra coscienza morale e coscienza politica nel pensiero di K.-O. Apel) a far avanzare ulteriormente la discussione, che si sofferma sulla riflessione di Apel e si concentra sulla distinzione e sul potenziale iato tra momento fondativo e momento applicativo dell’etica del discorso, cercando così, nel tentativo di riassorbirlo, di rinnovare un dialogo connettivo di morale e politica. La stessa preoccupazione, ora elaborata entro l’orizzonte problematico del riconoscimento, è quella che anima il contributo offerto da Eleonora Piromalli (Il riconoscimento tra etica, morale e politica): ci si propone qui di integrare la componente etica intrinseca al concetto del riconoscimento sia, a monte, sotto il profilo della fondazione morale e trascendentale sia, a valle, prefigurando l’allargamento della dimensione spesso solo intersoggettiva del riconoscimento a quella istituzionale e sistemica.

Chiude quindi l’ulteriore “cerchio” il contributo di Prejanò (Tra morale e politica: l’importanza dell’universo valoriale dei diritti umani), che idealmente si richiama al primo dei saggi della seconda parte, riportando il tema della discussione infinita tra morale e politica al livello della dignità e dei diritti umani; è questo un ambito che la riflessione kantiana, tra le altre, ha contribuito certamente ad elaborare, e che qui viene nuovamente inquadrato e ricompreso, a partire dalle riflessioni di Hersch e Bobbio.


Questo numero di «Lessico di Etica Pubblica» nasce come rielaborazione degli studi presentati nel contesto della XV edizione della Scuola di Alta Formazione di Acqui Terme (Alessandria), coordinata da Alberto Pirni e dedicata al tema: «Coscienza morale, coscienza politica. Modelli e percorsi a confronto». Nell’avviare la pubblicazione dei lavori qui raccolti, che hanno superato un processo di revisione molto accurato, deve essere ricordato che la manifestazione è sostenuta da vari Enti, a partire dal Comune di Acqui Terme, che dal 1998 ospita i lavori della Scuola e sostiene fattivamente l’iniziativa culturale. Tra le Istituzioni che hanno contribuito a questa edizione è doveroso menzionare l’«Istituto Nazionale Tributaristi» e il «Lions Club Host» di Acqui Terme, i cui contributi garantiscono innanzitutto le borse di studio annualmente bandite per agevolare la partecipazione di giovani studiosi. La Scuola è inoltre il frutto della proficua e stretta collaborazione scientifica instaurata, negli anni, con l’«Istituto Italiano per gli Studi Filosofici» (Napoli), il «Dipartimento di Antichità, Filosofia e Storia» dell’Università di Genova e l’«Istituto di Diritto, Politica e Sviluppo» della Scuola Superiore Sant’Anna di Studi Universitari e di Perfezionamento (Pisa). A tali Enti e Istituzioni – e alla preziosa sensibilità culturale di chi ne è alla guida – va il nostro più sincero ringraziamento per il patrocinio istituzionale concesso e per il fattivo supporto in tutte le fasi dell’evento.


* Pur avendo condiviso interamente – insieme alla co-curatrice Marta Sghirinzetti – il percorso e i contenuti qui presentati, Alberto Pirni è autore dei paragrafi I, II, V, mentre Attilio Bruzzone dei paragrafi III e IV.


Indice

Questioni

R. Gatti, Interiorità e politica: un’annotazione su Blaise Pascal

C. La Rocca, Kant e il problema della coscienza

M. De Caro, Libero arbitrio e giustizia

M. Kolychev, L’ontologia relativa e il fondamento dell’etica del futuro

F. Totaro, Per una politica del riconoscimento della dignità d’essere

 

Ricerche

R. Pilotti, Dignità dell’uomo e cittadinanza globale: Kant alle origini del cosmopolitismo giuridico

I. Rotella, Modello freudiano e modello nietzscheano intorno alla questione della Rangordnung

M. Marras, Abnegazione, dignità e rispetto di sé. Il femminismo liberal di Jean Hampton

L. Lovelli, L’incontro-scontro tra coscienza morale e coscienza politica nel pensiero di K.-O. Apel

E. Piromalli, Il riconoscimento tra etica, morale e politica

G. Prejanò, Tra morale e politica: l’importanza dell’universo valoriale dei diritti umani

 

Recensioni

[P. Zucconi], T. Casadei, Il rovescio dei diritti umani. Razza, discriminazione, schiavitù, con un’intervista a Étienne Balibar, DeriveApprodi, Roma 2016

[G. Vissio], F. Lordon, Capitalismo, desiderio e servitù. Antropologia delle passioni nel lavoro contemporaneo, DeriveApprodi, Roma 2015

[F. Rossi], M. Lalatta Costerbosa, Il silenzio della tortura. Contro un crimine estremo, DeriveApprodi, Roma 2016

[A. Lacchei], E. Greblo, Etica dell’immigrazione. Una introduzione, Mimesis, Milano-Udine 2015

[A. Loretoni], A. Belli, Che genere di diversity? Parole e sguardi femminili migranti su cittadinanza organizzativa e sociale, FrancoAngeli, Milano 2016


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