ASSOCIAZIONE

(fr. association; ingl. association; ted. Verein)

Storia

Col concetto di associazione si indica l’attitudine degli essere umani a stabilire relazioni stabili ed organiche al fine di corrispondere a sollecitazioni proprie ed a rispondere alle esigenze poste dalle diverse sfaccettature della vita umana. In tal senso – prima ed al di là – delle diverse categorizzazioni e concettualizzazioni il principio (libertà) di associazione si colloca nell’ambito delle istanze primarie e “naturali” dell’uomo. La storia del pensiero ne ha per secoli riconosciuto il dato (a partire soprattutto dall’analisi aristotelica) riconoscendo alla primazia dello stesso principio su tutte le altre istanze organizzative ed istituzionali i caratteri dell’evidenza e della fondatività dell’assetto politico e sociale.

Il percorso storico europeo è segnato – soprattutto a partire dal periodo medievale – dall’importanza del pluralismo associativo, secondo cui è informato l’intero sistema giuridico (il cosiddetto ius commune europeo) e politico. Nell’ambito delle grandi istituzioni universalistiche – Chiesa e Impero – si muovono ed operano in piena autonomia e con riconosciuta (anche se variamente graduata) potestà “normativa”, amministrativa, politica e giurisdizionale: la storia giuridica ed istituzionale ha individuato tradizionalmente nella pluriformità del fenomeno comunale l’archetipo delle “libere associazioni”; peraltro il panorama è assai più ricco ed articolato dovendosi registrare pure la presenza imponente ed operante delle corporazioni (mercantili e non), delle comunità rurali e montane, delle “società” monastiche e regolari, delle confraternite e delle Università, solo per elencare alcune di esse. Non va dimenticato, inoltre, che lo stesso mondo feudale si muove secondo logiche di relazioni pubbliche extrastatuali, che generano e favoriscono movimenti sociali “dal basso” di tipo associativo: basti pensare alle tipiche forme organizzative della pietà popolare o dell’economia curtense.

Risale proprio alla cultura giuridica medievale, ed in specie a quella canonistica del secolo (con il noto giurista Sinibaldo de’Fieschi, poi papa Innocenzo IV) l’elaborazione compiuta della teoria della “persona ficta” (personalità giuridica) con la quale si riconosce piena autonomia e soggettività alle compagini sociali (propriamente le fondazioni, se basate su un patrimonio o le associazioni, se basate in prevalenza sull’unione di individui in vista di una finalità sociale), permettendo di attribuire ad esse espressamente al titolarità di obblighi, diritti e prerogative al di là delle soggettività dei singoli componenti.

L’avvento dello Stato moderno, nella sua spinta accentratrice e nel tentativo condotto già a partire dalla fine del Medio Evo di ridurre il peso delle autonomie (soprattutto di quelle politiche e giurisdizionali), riesce – soprattutto nel secolo

XVIII – a ridurre di molto l’incidenza delle realtà cittadine e – su un altro versante – di quelle ecclesiastiche locali.

È il periodo della Rivoluzione francese, soprattutto nella sua componente e nel suo esito statualistico e positivista, a operare una decisa semplificazione del quadro politico e giuridico, condannando alla pressoché completa irrilevanza politica e giuridica (basti pensare all’abolizione di tutti i “privilegi” di antico regime del 1789 e alla totale positivizzazione del diritto operata dalla Codificazione napoleonica). La libertà di associazione diventa al più una delle manifestazioni dei diritti dei singoli, ma nello stesso tempo se ne stempera l’incidenza politica e sociale ben al di là della previsione delle “carte dei diritti”. Su tale impianto si inserisce poi l’impostazione del cosiddetto “Stato liberale” che vede piuttosto nella “libertà di riunione” il culmine del riconoscimento dell’auto-organizzazione dei cittadini (cfr. art. 32 dello Statuto albertino), a scapito della libertà di associazione, che troverà pieno riconoscimento solo nell’odierna impostazione costituzionale, che riconosce e favorisce – al contrario – specialmente la forma più stabile e duratura del vivere comune: l’associazione.

Peraltro, è proprio nell’epoca liberale che, a fronte dello scarso riconoscimento istituzionale dell’associazionismo (derivante anche dalla costante politica per molti aspetti “neogiurisdizionalista” dello Stato sabaudo prima e di quello unitario poi) il mondo della società “associata” si organizza in nuove e più raffinate forme (come testimoniato dallo sviluppo del movimento sindacale, da quello cooperativo e dal fiorire delle istituzioni caritative, professionali ed educative di nuova formazione) che – ben al di là delle previsioni – arricchiscono il panorama sociale ben oltre allo schema semplificante Stato/cittadino.

Il percorso del diritto di associazione si muove, in effetti, costantemente fra l’affermarsi nei fatti delle associazioni (o “corpi intermedi”) come momento inestirpabile di espressione concreta della “socialità” dell’individuo e le esigenze del riconoscimento istituzionale dell’associazionismo che ne colga e consolidi adeguatamente il ruolo non solamente a livello sociale e fattuale, ma pure giuridico ed economico. Dal riconoscimento aristotelico della socialità dell’individuo al “principio associativo” della civitas medievale, il divenire storico della società ha visto pressoché sempre nelle associazioni un motore costante ed essenziale del suo sviluppo.

Dato positivo attuale

La Costituzione italiana vigente riconosce nella sua prima parte dedicata ai Diritti e doveri dei cittadini che: “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare” (art. 18). Tale formulazione ha costituito il punto di arrivo di un percorso storico che origina nella concezione

liberale dello Stato unitario. In questo senso «nell’evoluzione dello Stato moderno la tutela della libertà di associazione segna il passaggio dalla democrazia liberale alla democrazia pluralista» (F. Rigano) e – secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale - rappresenta «la proiezione, sul piano dell’azione collettiva, della libertà individuale come risulta riconosciuta e tutelata dalla Costituzione stessa» (sentenza 417/1993). La previsione costituzionale italiana si colloca nella scia della “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” (art. 20) che attribuisce ad ogni persona il diritto di riunione e di associazione pacifica (oltre alla garanzia negativa in base alla quale nessuno può essere obbligato contro la propria volontà a fare parte di una qualsivoglia associazione).

Prima di prendere in esame gli elementi costituti della nozione di associazione, va rilevato come la previsione costituzionale offra al fenomeno associativo un duplice livello di tutela, ben al di là delle tradizionali garanzie civilistiche semplicemente individuali: anzitutto la garanzia della libertà del singolo ed in secondo luogo – significativamente – anche la piena garanzia della libertà collettiva accordata al gruppo nel suo insieme. La libertà (diritto) di associazione si raccorda, specifica e precisa, i capisaldi dell’intera architettura costituzionale esposti – com’è noto – negli art. 2 e 3 della Carta dedicati, in senso lato, ai valori e principi di solidarietà e di sussidiarietà. Quali sono gli elementi distintivi del fenomeno associazione? Quali i limiti?

a) Occorre in primo luogo che vi sia una collettività composta da due o più individui, che possono mutare nel corso del tempo, senza che l’associazione venga meno o subisca cambiamenti; il vincolo fra gli individui non può essere, però, meramente occasionale (anche se tale aspetto è discusso), ma avere il requisito della stabilità o comunque almeno un’adeguata permanenza in relazione agli scopi che si intendono perseguire.

È richiesta, infatti, come secondo elemento, la presenza di uno scopo, di una finalità comune da conseguire proprio mediante l’associazione fra individui; la volontà comune si precisa e configura con la concorde volontà di perseguire uno scopo attraverso mezzi e attività concordemente individuati ed accettati.

In terzo luogo si parla di elemento “materiale” e cioè di un’organizzazione stabile, da intendersi come insieme di regole, strumenti ed indirizzi espressione di una volontà collettiva; è qui che si colloca la necessità di stabilire statuti, organi di governo e delibere dell’associazione indispensabili per il funzionamento della stessa ed il perseguimento degli scopi comuni.

Le associazioni non sono tutte uguali; si distinguono, all’interno di esse, quelle personali (con finalità morali o intellettuali) da quelle economiche (con fini di lucro); quelle politiche da quelle sociali e amministrative; quelle religiose sono esplicitamene tutelate anche dall’art. 19 della Costituzione, mentre i partiti politici ed i sindacati sono disciplinati rispettivamente dagli artt. 39 e 49.

Questione assai dibattuta è quella della cosiddetta “libertà negativa” di associazione, in base alla quale la previsione costituzionale tutela anche il diritto a non far parte di alcuna associazione, che ha trovato nella dottrina numerose

argomentazioni, senza peraltro mai giungere (e questo è pure l’orientamento della Corte Costituzionale) ad una completa equivalenza di trattamento fra la libertà negativa e le ipotesi concrete di svolgimento positivo della stessa.

La previsione costituzionale tace del tutto sui rapporti interni e sugli ordinamenti delle associazioni, per i quali occorre riferirsi piuttosto al Codice civile ed alle legislazioni ordinarie, con particolare riguardo ai quei provvedimenti recenti che, ad esempio in materia di “Organizzazioni non lucrative di utilità sociale”, ha condizionato il godimento di determinati privilegi fiscali ed amministrativi al soddisfacimento di requisiti strutturali ed organizzativi interni: su tutti la democraticità e le finalità strettamente sociali. Peraltro stante la libertà assoluta di aderire o meno all’associazione, non si ritiene di individuare in linea generale vincoli all’organizzazione interna delle associazioni, per cui né il principio di democraticità né quello di eguaglianza fra i soci può considerarsi obbligatorio.

b) L’unico limite generale all’esercizio della libertà di associazione ed alle conseguenti attività associate è quello della legge penale. Sono previsti poi – per motivi abbastanza ovvi – i divieti e limiti relativi alle associazioni segrete ed alle associazioni che perseguono finalità politiche mediante organizzazioni militari. Tali limiti sono posti a tutela della correttezza della vita democratica e – a meno di taluni profili problematici ancora presenti nell’ordinamento – sono volti ad affermare il rispetto istituzionale e l’alta considerazione della libertà di associazione rettamente intesa ed esercitata.

Da ultimo, un cenno sulle più recenti modifiche costituzionali (del titolo V della nostra Carta fondamentale, legge cost. 3/2001) che operando un più preciso riconoscimento del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, 4° comma) hanno proseguito nel riconoscimento del peso giuridico delle formazioni sociali, in specie quelle non profit appartenenti al cosiddetto “terzo settore”, il cui contributo allo sviluppo della welfare society – in luogo dello “stato sociale” incapace a rispondere adeguatamente alle sempre più complesse domande provenenti dalla società civile del XXI secolo – è ormai un dato acquisto nella cultura giuridica e politica, che attende peraltro in numerosi settori (su tutti quello dell’educazione e dell’istruzione) di esprimere pienamente le proprie potenzialità.

In questa direzione la libertà di associazione si avvia a tornare ad essere il nucleo di una società costituita oltre che da singoli, da singoli associati, una vera e propria «democrazia associativa» (P. Hirst); secondo la non dimenticata lezione di Alexis de Tocqueville spetta proprio alle associazioni il ruolo di “baluardo” dei diritti e delle libertà contro ogni forma di oppressione o di limitazione delle libertà da parte dei poteri statali o locali (cfr. La Democrazia in America, parte I, II, 4 e parte II, V).

Michele Rosboch

 

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