Ludovic Bernhardt, Corps, images et réseaux: la question de l’espace public dans l’œuvre d’Öyvind Fahlström
Abstract
L’opera multiforme del pittore e poeta svedese di origine brasiliana Öyvind Fahlström (1928-1976) può aiutarci a comprendere in un modo quasi-archeologico gli sconvolgimenti apportati dalle reti digitali rispetto alla rappresentazione dei corpi e alla circolazione delle immagini. In alcuni dei suoi lavori, lo spazio pubblico svolge un ruolo particolarmente attivo. Al tempo stesso spazio di creazione, dimostrazione, performance, gioco, cartografia e utopia, le varie azioni di Fahlström mirano a occupare territori creando reti di relazioni critiche e interattività. D’altra parte, è certamente la questione delle reti di corpi e delle reti di immagini che ci sembra significativa, in particolare rispetto al modo in cui Fahlström percepisce il rapporto tra spazio pubblico e reti tecnologiche nel presente. Quando guardiamo alcune delle sue opere, pur essendo saldamente radicate nel periodo della Guerra Fredda, abbiamo la strana impressione di assistere a una forma di prefigurazione di Internet in anticipo sui tempi, una proto-cartografia caotica della rete digitale e delle sue transazioni intasate di immagini, finanze, organi, corpi mutanti e identità malleabili. È come un modello in parte astratto in parte concreto, organico e tecnologico, di un mondo globale così affollato da essere impossibile da abitare. Come manipolatore di sistemi complessi e spazi eterogenei, Fahlström stabilisce il suo campo di esplorazione alla luce di una forma di ecologia cibernetica dei media. Il suo lavoro risuona oggi come una singolare anticipazione delle recenti compenetrazioni tra il corpo e lo spazio digitale, con scritture reticolari sempre più invasive e ubiquitarie.Abstract (english)
The multifaceted work of the Brazilian-born Swedish painter and poet Öyvind Fahlström (1928-1976) can help us to understand the upheavals that digital networks have brought to the representation of bodies and the circulation of images today. In some of his work, the public space plays a particularly active role. At once a space for creation, demonstration, performance, play, utopia and cartography, Fahlström’s varied actions aim to occupy territories by creating webs of critical relationships and interactivity. On the other hand, it is the question of networks of bodies and networks of images that seems to us to be sensitive in the way Fahlström feels the relationships between public space and networks today. When we look at some of his works, even though they are well rooted in the Cold War period, we get the strange feeling that we are witnessing the prefiguration of a form of Internet before its time, a chaotic proto-mapping of the digital network and its congested transactions of images, finances, organs, mutant bodies and malleable identities. It’s like a half-abstract half- concrete, half-organic half-technological model of a global world that’s so cluttered it’s impossible to inhabit. As a manipulator of complex systems and heterogeneous spaces, Fahlström establishes his field of exploration in the light of a form of cybernetic media ecology. His work today resonates as a singular anticipation of recent interpenetrations between bodies and digital space, with reticular writing that is increasingly invasive and ubiquitous.