P. Monti, (Non-)Violenza pubblica e giustificazione religiosa. Introduzione
(Non-)Violenza pubblica e giustificazione religiosa. Introduzione
P. Monti (1)
La giustificazione religiosa della violenza è storicamente una delle sfide centrali alla fondazione della convivenza civile. Lungo la sua storia, il pensiero filosofico etico e politico si è spesso confrontato con tale sfida, uscendone profondamente segnato: dall’accusa di empietà a Socrate, alle guerre di religione del XVI e XVII secolo, fino al dilagare del terrorismo contemporaneo di matrice religiosa. Il pensiero democratico, la tradizione liberale e la riflessione moderna sulla tolleranza sorgono in misura importante da questo confronto. Il rapporto fra violenza e religione non è tuttavia univoco, come per certi versi la tradizione illuminista ha teso suggerire. I più brutali conflitti del XX secolo sono stati alimentati in molti casi da ideologie secolari e ostilità etniche, lasciando il fattore religioso ai margini in favore di giustificazioni politiche, economiche e identitarie di altra natura. Per altro verso, la compassione, l’amore e la non-violenza occupano un ruolo centrale nella dottrina e nella spiritualità delle più influenti religioni mondiali. Grandi protagonisti della storia recente come Gandhi, Martin Luther King o Desmond Tutu hanno giustificato in termini religiosi la propria opzione di lotta politica non-violenta, con conseguenze enormi sulla vita dei loro paesi di appartenenza. Una significativa ispirazione religiosa ha d’altro canto caratterizzato anche recenti fenomeni politici non-violenti, come la protesta di Solidarność in Polonia o la cosiddetta Rivoluzione Zafferano in Myanmar.
Il tramonto delle teorie standard della secolarizzazione e il ritorno delle religioni sul palco principale della scena politica ha così offerto molte occasioni al pensiero etico e politico contemporaneo per confrontarsi col rapporto fra (non- )violenza pubblica e religioni. L’analisi ha preso direzioni molteplici, indagando i rapporti fra pensiero religioso e comprensione della conflittualità sociale e politica (2), interpretando i meccanismi culturali di giustificazione e motivazione religiosa che guidano l’azione terroristica e la brutalità fondamentalista (3), sondando la storia del pensiero filosofico-teologico sul tema della giustificazione della guerra giusta (4).
Dalla varietà di queste analisi emerge come le religioni stiano mutando le forme della giustificazione religiosa della violenza e della non-violenza nel quadro della tarda secolarizzazione, accentuando la pluralizzazione di un quadro già di per sé segnato, come abbiamo osservato, dalla strutturale ambivalenza del religioso rispetto alla violenza, nell’oscillazione fra giustificazione e rifiuto. La forza politica del conservatorismo e del fondamentalismo religioso si alimenta del distacco fra credenza fideistica ed elaborazione culturale (5), con conseguenze rilevanti per le dinamiche politiche interne e per le vicende internazionali, come esemplificato dalla vicenda recente di paesi come Arabia Saudita, Iran, Turchia, Israele, India o Stati Uniti. Eppure in società tecnologicamente ed economicamente avanzate le religioni continuano a fornire un contributo cruciale al dibattito pubblico e all’azione politica sui temi del dialogo interculturale, della solidarietà e della giustizia sociale, come messo progressivamente a fuoco dalla riflessione più recente di J. Habermas e dall’ampio dibattito sul postsecolare. Così, da un lato i fenomeni del radicalismo violento saldano insieme immaginari spuri di fedeltà all’origine con forme ultramoderne di comunicazione commerciale ed elementi di contestazione dell’ordine economico e politico globalizzato (6). Dall’altro, molteplici ispirazioni religiose contribuiscono a livello globale alla causa della convivenza fra i popoli e dell’accoglienza delle popolazioni in fuga dai conflitti, veicolando una preoccupazione per la giustizia che supera i confini degli stati nazionali (7).
I contributi raccolti in questo numero di Lessico di Etica Pubblica mirano ad articolare questa complessa relazione fra (non-)violenza e religioni, mettendo in campo l’ampia varietà di approcci sul tema che la riflessione filosofica consente: dall’analisi della storia del pensiero etico-politico moderno, alla disamina critica del contributo degli autori contemporanei che si sono concentrati sul tema, fino alle analisi di carattere più apertamente teoretico sul nesso fra violenza, potere politico e giustificazione religiosa.
La prima sezione (Questioni) presenta tre contributi di ampio respiro che istruiscono la questione su livelli distinti, ma fra loro collegati. Il saggio di Jean-Christophe Merle accosta il problema del conflitto e della violenza nella prospettiva generale della grande questione del male e delle sue interpretazioni teologiche e filosofiche. L’avvento della secolarizzazione lascia aperto il problema della possibilità della scelta del male sul bene da parte dell’uomo; laddove le risposte teologiche e utopiche a tale problema paiono oggi in difficoltà, sostiene Merle, occorre abbracciare la possibilità, modesta ma reale, dell’amicizia fra uomo e uomo. Raquel Lázaro, attingendo al dibattito filosofico più recente, mette in questione la validità delle narrazioni prevalenti circa l’inesorabile secolarizzazione delle società moderne e lo strutturale nesso fra religione e violenza. Se una certa misura di violenza è inevitabile nella vita sociale, occorre riconoscere che la religione ne è sempre stata tradizionalmente tanto fonte quanto vittima. In questo senso, la libertà religiosa costituisce oggi un necessario baluardo contro la persecuzione violenta di coloro che sono discriminati e colpiti a motivo del loro credo religioso. Il contributo di Pierre-Jean Luizard inscrive il tema nel cuore della contemporaneità politica, proponendo una riflessione sulla parabola storica del sedicente Stato islamico. Nell’analisi di Luizard, la tragica e inaspettata affermazione dell’estremismo islamista in Medio Oriente deve portare a una approfondita riconsiderazione dei limiti della prospettiva laicista dell’Occidente e delle sue implicazioni per quanto concerne i rapporti col mondo islamico. Il saggio di Ilaria Biano chiude questa sezione allargando lo sguardo sui conflitti di ispirazione religiosa al contesto globale e interrogandosi circa le implicazioni su di essi degli opposti processi di secolarizzazione e resistenza alla secolarizzazione. Le riflessioni di Ulrich Beck e Jürgen Habermas forniscono in tal senso un contributo utile per articolare la problematica, pur recando con sé anche un carico di ambiguità e criticità.
La seconda sezione (Ricerche) raccoglie una serie di saggi che coprono un ventaglio di problematiche specifiche connesse all’argomento di questo numero. Il testo di Piervittorio Formichetti affronta il tema del dibattuto nesso fra violenza e monoteismo. Attingendo alla riflessione di autori moderni e contemporanei, contesta la possibilità di generalizzare tale relazione, che dunque costituirebbe una corruzione piuttosto che un’inevitabile implicazione delle tradizioni monoteiste. Giacomo Maria Arrigo propone una suggestiva lettura del salafismo e del jihadismo islamista tramite la lente del pensiero maturo di Eric Voegelin. Le forme estremiste dell’Islam politico apparirebbero, in questa prospettiva, come una degenerazione di quella tradizione religiosa, adottando la violenza come mezzo al fine di mutare magicamente la natura della realtà sociale. Michele Gimondo ci trasporta dalla concentrazione sul tema della violenza pubblica a quella sul suo “doppio”, cioè la non-violenza come forma di lotta sociale e politica. Il saggio mette a fuoco in particolare la non-violenza come forma della disobbedienza civile, prendendo in esame la riflessione di Étienne de La Boétie, Henry David Thoreau e Martin Luther King. Chiudono la sezione due testi sul pensiero di due importanti autori italiani che al tema della non-violenza hanno dedicato la propria produzione filosofica e la propria azione sociale e politica. Pamela Fabiano e Giovanni Patriarca esaminano la riflessione di Lanza del Vasto, esplorandone le profonde radici spirituali e mettendone in luce le rilevanti implicazioni storico-filosofiche. Verbena Giambastiani si concentra invece sull’importante eredità culturale e politica lasciata da Aldo Capitini. La sua figura appare in questo senso utile per ripensare la non- violenza come opzione etica fondamentale ma anche come prospettiva politica che mira a mettere il tema della pace al centro del dibattito pubblico e della vita civile.
Nella loro varietà i diversi contributi mettono in luce efficacemente la natura multiforme e ambivalente del nesso fra violenza pubblica e giustificazione religiosa, aprendo la strada a una molteplicità di ulteriori piste di indagine. In un’epoca contrassegnata dal mutamento delle comprensioni pregresse sia del religioso sia del secolare, la concentrazione sull’inesausto potenziale di giustificazione della non- violenza insito nei repertori cognitivi e motivazionali delle tradizioni religiose è cruciale per la riflessione etica. L’irriducibile diversità del fenomeno religioso su scala globale rilancia in particolare il compito in molteplici direzioni, invitando ad assumere una prospettiva di indagine sempre più plurale e comparativista. Un compito a un tempo entusiasmante e arduo per lo sviluppo della riflessione nel campo dell’etica pubblica, della filosofia delle religioni e della teoria politica.
Note
(1) e-mail: paolo.monti@unicatt.it – Università Cattolica del Sacro Cuore
(2) Cfr. fra gli altri R. Girard, La violenza e il sacro (1972), tr. it. di O. Fatica ed E. Czerkl, Adelphi, Milano 1992; G. Agamben, Homo sacer: il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995; R. Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita, Einaudi, Torino 2002; C. Taylor, L’età secolare (2007), tr. it. di P. Costa, Feltrinelli, Milano 2009.
(3) Cfr. fra gli altri M. Juergensmeyer, The New Cold War? Religious Nationalism Confronts the Secular State, University of California Press, Berkeley 1993; I. Strenski, Sacrifice, Gift and the Social Logic of Muslim Human Bombers, in «Terrorism and Political Violence», 15, n. 3, 2003, pp. 1-34; T. Asad, On Suicide Bombing, Columbia University Press, New York 2007.
(4) Cfr. fra gli altri L. Steffen, Holy War, Just War: Exploring the Moral Meaning of Religious Violence, Rowman & Littlefield, Lanham, MD 2007; S. Clarke, The Justification of Religious Violence, Wiley Blackwell, Malden, MA 2014.
(5) Cfr. O. Roy, La santa ignoranza. Religioni senza cultura (2008), tr. it. di M. Guareschi, Feltrinelli, Milano 2009.
(6) Cfr. S. Žižek, La violenza invisibile (2007), tr. it. di C. Capararo e A. Zucchetti, Rizzoli, Milano 2007 e Vivere alla fine dei tempi (2010), tr. it. di C. Salzani, Ponte alle Grazie, Milano 2011.
(7) Cfr. U. Beck, Il Dio personale: La nascita della religiosità secolare (2008), tr. it. di S. Franchini, Laterza, Bari 2009.
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