LESSICO DI ETICA PUBBLICA, ANNO IV, Numero 1/2013 – ISSN 2039-2206

Abstract

PRESENTAZIONE

Il presente numero monografico della rivista è costituito pressoché nella sua interezza dalla sezione Questioni, dedicata alla parola “debito”, forse la parola più presente nei dibattiti pubblici degli ultimi anni, soprattutto a partire dall’inizio della cosiddetta “crisi dei debiti”. Meglio ancora, il numero si concentra sulle diverse forme del debito, mira cioè a mettere in discussione che vi sia un e uno soltanto modo (soprattutto quello economico) di intendere il debito.
Se, infatti, momento imprescindibile di ogni discorso interno alla sfera pubblica è il chiarimento dei termini che vanno per la maggiore, occorre chiedersi che cosa significa debito, o meglio di che cosa si parla quando si parla di debito: i contributi che seguono intendono proprio offrirsi come occasione di incontro e discussione sulla “questione del debito”, accogliendo interventi di diverso taglio disciplinare e di diverse prospettive, tutti però accomunati dal presupposto che debito è parola “multivoca”.
Soprattutto appunto negli ultimi tormentati anni, nel linguaggio comune con “debito” si evidenzia in particolare l’aspetto economico, legato al denaro e alla moneta, ai prestiti e investimenti in senso monetario, ma sono proprio questi – nel rapporto che hanno con il circolo debito-credito – a restare “nominati” ma non adeguatamente tematizzati o approfonditi – persino nello stesso senso strettamente economico. Non si fa spazio alla relazione che il debito economico intrattiene con gli altri ambiti dell’esperienza ed esistenza umane: infatti, esistono perlomeno un debito politico (la “fiducia” che cementa il legame sociale, nelle classiche e contemporanee forme di contrattualismo), etico (la questione della “responsabilità”, centrale per esempio nel dibattito bioetico) e religioso (il “peccato originale” e insieme “originario”, il “senso di colpa” nel suo costitutivo rapporto con la coscienza credente), che sembrano in ultima istanza rimandare a uno antropologico, cioè al ruolo che il “debito-credito” inteso come relazione (il munus, il dovere qualcosa a qualcuno e l’avere qualcosa da dare agli altri) gioca nella vita umana e – ancor prima – nella peculiare natura dell’umano. Non si tratta di paventare un’improbabile “cancellazione” della dimensione strettamente economica del fenomeno della debitorietà, come se la reazione all’idea secondo cui non c’è nient’altro che l’economia possa essere quella secondo cui esiste o deve esistere soltanto altro dall’economia, mettendo in atto una “sottrazione” rispetto all’economico: si tratta piuttosto di allargare lo spettro delle sfumature e delle dimensioni assunte dal debito, lavorando così per “addizione” se non per “moltiplicazione” – ed è solo in quest’ottica che può aprirsi in ultima battuta anche la possibilità di un’altra economia.
Parafrasando così note parole aristoteliche, debito si dice in molti modi, come pare sintetizzare in modo efficace il lemma tedesco Schuld, sottoposto al più radicale tentativo genealogico da Nietzsche, non a caso traducibile per esempio tanto con “debito” (profilo dell’economia), quanto con “colpa” (profilo della teologia – ma anche della psicologia) o con “dovere” (profilo della filosofia, ma anche della politica). Traducibile forse a ben vedere – come l’insieme del numero sembra suggerire – persino in maniera più ampia e profonda con relazione.
I saggi che compongono il presente numero dunque rappresentano proprio (alcuni tra) i diversi modi in cui si può significare e intendere il debito e – con esso – la relazione. Più da presso, si ritroveranno saggi di taglio più strettamente filosofico in quanto cercano di offrire la cornice concettuale generale al cui interno poter pensare il debito tra filosofia e antropologia (G. Pezzano) o una ricostruzione delle dense e variegate “avventure” del debito nella filosofia contemporanea (G. Venturelli), critico- filosofico in quanto mettono in discussione alcuni tra i presupposti epistemologici della scienza economica e della sua lettura “univoca” del debito (G. Vissio) o lo stretto rapporto tra il “debito d’esistenza” e il sempre più dilagante controllo sociale via aumento apparente degli spazi di libertà (A. Moretti), etico in quanto mettono al centro del proprio discorso le tematiche bio- etiche e giuridiche in merito al rapporto tra debito e nascita (F. Aprile) o la relazione tra responsabilità e debitorietà con particolare attenzione alla discussione teologica (F. Mancini), ermeneutico in quanto mirano a fornire nuovi strumenti per interpretare il debito attraverso la categoria di ospitalità (E. Sferrazza Papa) o la ricchissima e ancora troppo poco tenuta in considerazione riflessione romantica sulla “circolarità” del debito (L. Bruna), nonché infine critico-letterario in quanto dedicati a ricostruire diverse figure della fiducia intersecando narrativa, linguistica e riflessione critica (B. Scapolo).
Più precisamente, il testo di Pezzano propone un’interpretazione “morfologica” del debito che sappia tematizzare in maniera adeguata il credito che lo accompagna e che soprattutto chiarisca in che senso è la stessa natura biologica generica umana, presa dalla dialettica tra “mancanza” ed “eccesso”, a rappresentare la radice della coessenzialità del nesso debito-credito rispetto alla vita umana e il presupposto delle sue molteplici declinazioni. In tale ottica, il centro della scena è occupato dalla categoria di relazionalità, arrivando da ultimo anche a prospettare il ripensamento dell’individuo in quanto processo sociale di individuazione e quello dei rapporti tra “Occidente” e “Oriente” rispetto alla percezione comune della comune umanità che gli appartenenti tanto al primo quanto al secondo esprimono e realizzano.
Le pagine di Venturelli si concentrano invece sul nesso tra debito, soggettività, azione e alterità, dando particolare rilievo al ruolo che l’Altro gioca nel pro-vocare e quasi s-muovere il soggetto aprendolo all’altrui ma anche alla propria fragilità. Le prospettive di autori come Ricoeur, Lévinas, Arendt e Williams vengono fatte produttivamente dialogare per spiegare come la dimensione etica faccia tutt’uno con quella relazionale e per arrivare a comprendere come il debito non possa in alcun modo essere visto alla stregua di uno strumento (economico) mediante cui cancellare la relazione con l’altro o addirittura – come stiamo drammaticamente vedendo – cancellare l’altro stesso, perché piuttosto rappresenta ciò che all’altro ci lega o promette di legarci e con ciò di legarci anche a noi stessi.
Dal canto suo, il denso contributo di Vissio prende di mira l’idea che sia possibile “formalizzare” il debito e la sua esperienza e in maniera particolare il ruolo che il processo di formalizzazione occupa nei discorsi e nell’epistemologia della “scienza” economica. Il dichiarato sguardo fenomenologico salda la questione ontologica a quella epistemologica, per arrivare a mostrare – mediante un originale confronto con la storia della matematica e della scienza – in che modo la “modellizzazione” produca un impoverimento tanto sul primo piano (come se il mondo della vita potesse essere ridotto a un’economia della vita) quanto sul secondo (come se il fisicalismo potesse essere il modello per tutte le scienze, naturali e umane).
Rispetto a un simile sfondo, l’incursione di Moretti nella genealogia foucaultiana condotta orientandosi con l’intensissima lettura datane da Deleuze fa emergere il portato più immediatamente politico-sociale del dilagare del discorso e delle pratiche economiche: il passaggio – ancora troppo poco riconosciuto a livello di percezione sociale diffusa – dalla società della disciplina a quella del controllo si accompagna a quello dal principio dell’internamento al principio del controllo all’aria aperta, il cui portato ultimo è la figura dell’uomo indebitato o debitore, che si ritrova cioè a essere costitutivamente in difetto non solo e non tanto nei confronti di un qualche “controllore”, quanto piuttosto e ben più problematicamente rispetto allo stesso processo di auto- costruzione e formazione di sé cui è chiamato o al quale è abbandonato.
Il versante più strettamente etico dei discorsi sul debito si situa al cuore dell’originale saggio di Aprile, che coniuga filosofia, teologia, poesia e diritto per ripensare l’aborto e in particolare lo status dell’embrione all’interno di un’ontologia “debole” prima di tutto perché incentrata sulla vulnerabilità della relazione: la relazione gestante-nascituro viene così compresa da un lato attraverso la categoria di debito pensata in riferimento alla distinzione giuridica tra creditore “volontario” e “involontario”, dall’altro lato come scelta “sovraetica” dell’amore per nulla, sia perché nei confronti di ciò che in senso stretto (ancora) non è, sia perché sganciata da qualsiasi interesse in senso egoistico e utilitaristico.
Con il testo di Mancini, il cui asse è la tematizzazione del pensiero di Bonhoeffer alla luce delle analisi weberiane sul rapporto tra discorso teologico ed economico, la sfera teologica si apre per mostrare la rilevanza che i concetti e i temi discussi al sul interno possiedono antropologicamente e socialmente: può così emergere una concezione del debito come responsabilità, a sua volta intesa come fedeltà all’altro (divino o umano) non però nel senso passivo e statico dell’abbandono o della rinuncia all’azione, ma anzi in quello eminentemente attivo e dinamico dell’assunzione consapevole dello stimolo all’agire e del “peso” che esso porta con sé, all’interno della storia ma in vista di qualcosa che non si riduce al suo trascorrere.
Il contributo di Sferrazza Papa si delinea come un primo tassello in vista della costruzione di un’etica dell’ospitalità che pensi il debito come un’apertura verso l’altro che potremmo definire come letteralmente spregiudicata perché rinuncia a qualsiasi forma di pregiudizio che – collocando preliminarmente l’altro in una qualche categoria – finisce per fare dello straniero un mero estraneo da cui tenersi a distanza, non cogliendo che quell’estraneità che si vuole tenere lontano da sé dimora in realtà nei più profondi interstizi del proprio io. Pur senza cancellare le ambiguità del lessico dell’ospitalità, essa si presenta come quel dover-essere che deve far essere l’altro: con ciò, l’etica dell’ospitalità viene fatta valere in tutta la propria pregnanza sociale nel tentativo di sganciare il fenomeno dell’immigrazione dal paradigma gestionale in cui le attuali politiche pubbliche, italiane ma non solo, sembrano averlo confinato.
Le documentate analisi di Bruna si rivelano illuminanti per almeno due aspetti. In primo luogo, esse sfatano il mito storiografico e filosofico ormai penetrato nel senso comune secondo cui “romantico” indicherebbe tutto l’opposto di un atteggiamento attento al concreto vissuto storico-sociale e finanche politico del soggetto; in secondo luogo, si fanno carico di esplicitare il senso per cui la relazione debito(re)-credito(re) non può essere letta in termini né esclusivamente orizzontali né esclusivamente verticali, perché la sua peculiarità è di legare entrambe le dimensioni. Il punto di incontro e tramite tra tali aspetti è rappresentato dal pensiero di Adam Müller e soprattutto dalle sue riflessioni sul denaro e sulla moneta, che consentono in ultima istanza di delineare la circolarità – categoria romantica cardine sfuggente a ogni forma antitetica compresa appunto quella orizzontale/verticale – come caratteristica essenziale del debito-credito.
La chiusa della sezione monografica è affidata a Scapolo, che coniuga felicemente narrativa e filosofia per far luce sulla struttura problematica della relazione fiduciaria e, in particolare, sul nesso che questa intrattiene con il debito- credito. L’uomo di fiducia di Melville è l’occasione per ricostruire, anche mediante un accurato percorso etimologico, come la fiducia presupponga un investimento il quale, lungi dal ridursi a una dimensione “irenica” di affidamento all’altro (simmetria), presuppone sempre anche il rischio e l’incertezza (asimmetria): è per questo per esempio che uomo di fiducia e truffatore si rivelano figure così prossime, o che risulta impossibile pensare che l’apertura di un rapporto usuraio debitore-creditore non “usuri” in partenza ogni possibile relazione di amicizia, o – ancora – che l’interesse per un rapporto può tramutarsi in rapporto interessato, da far fruttare o persino anche da sfruttare ricorrendo a qualcosa come a un tasso di interesse. La narrativa viene fatta in ultima istanza filosoficamente giocare come leva tramite cui “smascherare” le narrazioni della fiducia accolte in maniera acritica, proprio mostrando che ogni narrazione si basa innanzitutto sulla fiducia che le viene accordata.
Anche in questa circostanza, è alla sezione Recensioni che viene affidata la chiusura del numero: essa si compone dell’analisi di tre testi (rispettivamente a cura di Pietro Piro, di Giacomo Pezzano e di Gustavo Zagrebelski), che come di consueto propongono stimoli e occasioni di confronto sui temi che hanno occupato e occuperanno i lavori di ricerca del CeSPeC, in particolare nell’ormai prossima VI edizione della Summer School (17-21 settembre 2013), che prenderà di petto le sfide economiche attuali a partire dal tema Le sfide della crisi. Economia, religioni e valori nella società della contrazione.
È, per chiudere, anche ai lavori e agli incontri che avranno luogo in tali giornate di pubblico confronto e dialogo che i contributi sulle Forme del debito qui raccolti intendono offrire un sostanziale e – speriamo – fecondo contributo.
Giacomo Pezzano


INDICE
Sezione QUESTIONI: Forme del debito

Giacomo Pezzano
Debitori (creditori) a vita. Per una morfologia del debito (e del credito)

Giulia Venturelli
La relazione etica. debito, reciprocità e responsabilità nella riflessione filosofica contemporanea

Gabriele Vissio
L’oggetto e la forma, la forma dell’oggetto. Epistemologia ed ontologia dell’economico

Antonio Moretti
Debito e controllo. Oltre lo Stato disciplinare

Fabrizio Aprile
Decisione abortica e actus debendi: per un’ontologia (debole) dell’evento embrionale

Fabio Mancini
Debito e responsabilità nella teologia di Dietrich Bonhoeffer

Ernesto Calogero Sferrazza Papa
Etica dell’ospitalità e filosofia del debito: l’ospitalità come forma-del-debito

Lia Bruna
Il circolo debito-credito come forma di dominio. Economia e morale nel romanticismo politico

Barbara Scapolo
La dimensione fiduciaria nella relazione credito-debito

Sezione RECENSIONI

Sergio Racca
P. Piro (a cura di), “Il giogo e il gioco”

Alberto Giovanni Biuso
G. Pezzano, “Tractatus Philosophico-Anthropologicus”

Sergio Racca
G. Zagrebelsky,“Simboli al potere”


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